venerdì 16 agosto 2013

La lavorazione del ferro nel ducato di Bracciano

Lo Stato ecclesiastico vantava al suo interno diversi centri per la produzione del ferro, localizzati per lo più nella Provincia di Patrimonio: nonostante ciò non ha mai raggiunto l'autosufficienza, come dimostrano alcune relazioni dai toni amari
Dalla sola Germania sono stati mandati annualmente novecento e più barili di semplici chiodi, e più centinaia di fasci di gomene. Da paesi esteri vengono li gangani, bandelle, serrature, ed altri Lavori più ovii, e materiali... In Ronciglione resta continuamente chiusa una, o due delle Ferriere camerali, e l'altre lavorano molto lentamente. In Sutri, Capranica, Bracciano, Viterbo ed altri luoghi succede lo stesso ed anche peggio) [ASR, Camerale II Dogane, b. 40]
Uno dei centri più produttivi dell'intero Stato era il ducato di Bracciano, diventato, a metà del XVIII sec., la capitale pontificia del ferro: al 1762, con 1.525.382 libbre di ferraggio (ovvero 517 t di ghisa) e 80 centi di vena (ovvero 880 t di minerale) superava tutti gli altri centri di produzione.
Resti della ferriera di Castel Giuliano
Lo sviluppo di questa importante industria nel ducato di Bracciano è legata alla famiglia Orsini: in particolare si deve a Paolo Giordano I, l'introduzione, nella seconda metà del '500, della prima ferriera braccianese, e a Paolo Giordano II, per mezzo del matrimonio da lui contratto con la principessa Isabella Appiani di Piombino, l'afflusso ai forni ducali dell'abbondante materia prima prodotta in Toscana (che ha comportato l'energica crescita dell'attività).

Le ferriere di Castel Giuliano segnate nel Catasto Alessandrino (1660)
Le ferriere orsiniane erano localizzate nel territorio di Castel Giuliano, dove sfruttavano sia la maggiore vicinanza con il mare, che la forza motrice di un modesto corso d'acqua. Per il XVII sec. risultano gestite dalla famiglia Fioravanti, una delle più in vista del ducato. Nei pressi fu impiantato, nel 1602, da Solderio Patrizi, allora feudatario di Castel Giuliano, il forno nuovo o forno del Sambuco, un forno da fare ferraccio, che resterà in attività per pochi anni (dopo il 1613 non se ne avranno più notizie).

L'acquedotto Odescalchi e le prime 4 ferriere nel catasto Gregoriano
Con il completamento dell'acquedotto di Bracciano, fortemente voluto da Livio I, capostipite della nuova casata baronale degli Odescalchi (secondo decennio del XVIII sec.), nel 1720 vengono erette ai margini del paese un forno per il ferraccio (alto 7,5 m), cinque ferriere per la conversione della ghisa prodotta in loco e un distendino per la lavorazione del massello di ferro, alimentati dalla forza motrice dell'acqua da poco incondottata. Al 1767 una delle ferreriere risulta essere chiusa ed oziosa senza lavorare.

Una delle ferriere, oggi restaurata a trasformata in auditorium
Nel periodo napoleonico il francese Morel ristruttura l'altoforno, che diventa il più moderno dello Stato pontificio; assieme al forno di Canino alimenta una serie di ferriere disperse per lo più nel territorio della Tuscia viterbese, da San Martino a Civitella Cesi, a Sutri, a Vetralla, oltre al più importante centro produttivo di Ronciglione. Verrà infine demolito negli anni '50 del XX secolo.

La Ferratella di Villa Flavia (fraz. Pisciarelli di Bracciano)
Un'altro piccolo centro produttivo braccianese era la c.d. Ferratella, ancora attiva negli anni '20 del XIX sec. Mancando nelle immediate vicinanze un corso d'acqua, è probabile che la struttura fosse alimentata riattivando il piccolo acquedotto orsiniano che nel '500 portava l'acqua della Fiora alle Delizie di Villa Flavia, luogo di delizie del cardinale Virginio Orsini, da secoli in stato di abbandono.

(fonte: Cavallini M., Gigante E.G., De Re Metallica. Dalla produzione antica alla copia moderna, l'Erma di Bretschneider, Roma 2007)

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