lunedì 28 ottobre 2013

Premiata Tipografia Strabioli

Premiata Tipografia Strabioli (conc. Photostudio A.C. di Giuliano Mattei)

Tra il 1903 e il 1983 è stata attiva a Bracciano, nella storica sede di via Flavia (poi via S. Negretti),  la tipografia Strabioli. Avviata dal capostipite Costantino con i macchinari di seconda mano provenienti dal Mattino di Napoli (di cui uno è in mostra presso la Biblioteca Comunale di Bracciano), la tipografia Strabioli nasce come attività al servizio del Comune, per il quale stampa bandi, manifesti e locandine (pregevoli sono, al riguardo, le locandine degli spettacoli in programma nel teatro comunale, un tempo esistente all’interno del palazzo del Municipio), e delle caserme, per le quali imprime a caratteri mobili le circolari e i fogli d’ordine. Fin dal secondo anno di attività l’azienda, in qualità di casa editrice, avvia la pubblicazione di volumi originali di interesse sia locale che nazionale.

Er Conte de Montecristo

Analizzando i titoli editi ordinati cronologicamente è possibile periodizzare gli ottanta anni di attività della stamperia (1): ad inizio secolo è caratterizzata dagli argomenti agrari, con il saggio del Rosati (1904), che, proponendo l’ennesima soluzione ai problemi dell’Agro Romano, si pone idealmente in continuità con quel filone iniziato alla fine del ‘700 dal Cacherano di Bricherasio e continuato poi dal Milella e, non ultimo, dallo Jacini, curatore della colossale Inchiesta Agraria.

La Vita del Campagnolo nell'Agro Romano

Ancora più interessante è il manifestarsi, col Di Lorenzo (1906) e col De Santis (1900; autore non Strabioli) di quel genere letterario altamente specializzato che indicato come “panegirico delle restrizioni”: nei primi anni del XX secolo iniziavano a farsi sentire, attraverso le prime sentenze passate in giudicato, gli effetti delle leggi abolitive degli usi civici (del 1888 e 1896), che cancellavano, in cambio di una magra indennità, il diritto della popolazione di pascolare, seminare e far legna usi civici sulle terre comuni. E’ questo un periodo di grandi agitazioni contadine, alimentate dalla dissoluzione di quella sorta di ammortizzatore sociale che garantiva da secoli il sostentamento delle classi meno abbienti: non è un caso il fiorire di questi saggi, scritti da periti agrari, al fine di elogiare i miglioramenti dell’agricoltura raggiunti in seguito del processo di privatizzazione delle terre. Le opere del De Santis per la tenuta del Giacomini a Boccalupo, e del Di Lorenzo per l’ex latifondo baronale, oltre che un prezioso compendio di informazioni sulla nostra campagna, sono due esempi di come la scienza agraria poteva essere impiegata al servizio della politica.

Relazione sui miglioramenti apportati nel Ducato di Bracciano

Una seconda fase (1909-1921) è contraddistinta dal rapporto della Strabioli con Adolfo Giacquinto, personaggio oggi caduto in oblio, e tuttavia meritevole di citazione nel Dizionario Biografico degli italiani. Di origine napoletana, il Giacquinto è attivo a Roma, dove guadagna la fama pubblicando diversi ricettari e fondando il “Messaggero della cucina”.

Il Messaggero della Cucina

Raggiunge una discreta notorietà anche come autore di poesie in vernacolo romanesco: l’ascesa del Trilussa finirà per adombrarlo. Oggi è più famosa la nipote (e figlia d’arte) Ada Boni, autrice del fortunato “Talismano della felicità”. 

La verità e la bucia

Un altro filone prolifico è quello del sacro, presente fin dagli anni ’20 ma preponderante a partire dagli anni ’60: in questo periodo la Strabioli annovera tra i suoi autori d. Cesolini, parroco mai dimenticato dai braccianesi, e d. Tommaso Stenico, personaggio noto alle cronache nazionali. Gli anni ’20-’40 si contraddistinguono, inoltre, per un fitto sottobosco di saggistica di vario argomento, dalla medicina, all’economia, alla storia, mentre negli anni ’30 e ’40 si infittiscono le pubblicazioni di tipo militare.

Cucina di Famiglia e Pasticceria

(1) Elenco non esaustivo delle pubblicazioni edite dalla tip. Strabioli.


1904 Rosati La vita del campagnolo nell'agro romano
1905 Pettini Dall'empirismo alla cucina scientifica
1906 Di Lorenzo Relazione sui miglioramenti apportati nel ducato di Bracciano
1906 Del Chiaro Questioni sulle biblioteche governative
1907
Programma e statuto federale approvato
1907 Giaquinto La verità e la bucia
1909 Giaquinto Raccolta completa di poesie dialettali
1910 Hirschmann-Parmeggiani Il buon governo della casa
1910 Giaquinto Il pesce nella cucina casalinga
1911 Balmas Il decennio 1843-1853 attraverso le lettere inedite di Giuseppe Massari
1911 Giaquinto La felicità famigliare
1914 Giaquinto I dolci in famiglia
1915 Minutillo Trieste durante l'ultimo periodo di dominazione austriaca
1916 Giaquinto Quaranta maniere di cucinare il coniglio
1917 Giaquinto Raccolta completa della cucina di famiglia
1920 Giaquinto Birbonate allegre
1921 Giaquinto Cucina di famiglia e pasticceria
1925 Angelelli Sonetti ispirati da Gesù
1926 Rubietti-Giordano La religione cristiana, ossia l'Inno del creato al creatore
1928 Palieri Origine ed importanza sociale del mutuo soccorso
1929 Palieri in memoria di Umberto Bianchini
1929 Giordani Dissertazioni monetarie
1929 Pierlorenzi I frutti della Passione
1930 Amici Conferenza sull'astronomia
1930
Nozioni varie per le reclute
1931 Lavagna Vade-mecum per il cavalleggero del Reparto comando
1932 Beretella Ugo Foscolo Cittadino - Patriota - Poeta
1937
Il 219. battaglione CC.NN.
1938 Schiavi Indice analitico alfabetico delle circolari del Foglio di ordini
1938
La voce di Gesù
1938 Bruzio Giovinezza
1939 Zibellini Suor Domenica saccarelli
1940 Sacconi L'inestinguibile fonte d'amore: Canti della maternità
1941
Ferrea mole, ferreo cuore
1941 Ruggeri Il cordoma
1945 Pomes Turbine di penne
1947 Panunzi La guida del dolciere
1949 Ferranti Un fiore nella bufera
1950 Folchitto L'ordinamento regionale "Chiodo solare"
1950
I Contratti di lavoro
1952 Folchitto Fiaba natalizia
1954 Ciottelli Brevi novelle
1956
50. anniversario della fondazione dell'Ente
1961 Cesolini Norme di vita parrocchiale, preghiere, canti
1962 Coppari Er conte de montecristo
1976 Stenico La preghiera in San Paolo

venerdì 4 ottobre 2013

Oh se io fossi pittore!

Van Wittel, Veduta di Bracciano
Se io fossi pittore, dalla loggia di questa prima casa, con cui ha qui termine, o viceversa, cominciamento la prima strada del paese, io vorrei ritrarre Bracciano, che di qua si presenta bello e sorprendente oltremodo. Da un lato tranquillo il lago, di cui percorri con l'occhio in gran parte attorno attorno le verdeggianti spiagge, e dalla opposta sponda vedi biancheggiare e specchiarsi in esso l'Anguillara; dietro e lontanissimi i monti della Sabina, e mostrarsi solitario il sant'Oreste, lo antico Soratte, che si confonde e si perde colla eccelsa cima nello azzurro del cielo. Tornando collo sguardo sulle rive del lago, alquanto a sinistra di chi miri in esso da questo punto, quasi dirimpetto all'Anguillara, è bello a vedere specchiarvisi egualmente Trevignano. Nè qui l'occhio può seguitare oltre la curva, che fa la riva di esso lago riparata dallo stesso Bracciano, il quale sorge maestosamente nell'alto del colle, di cui le estreme falde vanno con dolce pendio, ed appianandosi alquanto, a dare su quelle rive.
Questa via lunga e spaziosa, donde ci soffermiamo ad ammirare il bel paese, appellano il borgo flavio, da Flavio, ultimo della gente Orsina, che fu signore del luogo; in fondo ad essa una piccola piazza, e poi, passato un ponte che diresti fatto ad unire Bracciano vecchio col nuovo, una chiesa non piccola con bel convento degli agostiniani, consacrata a santa Maria Novella; quell'altra, che colassù fra le case non lungi dal castello di eleva su tutte col suo timpano, è il duomo consacrato a santo Stefano. Poi signoreggia il paese non solo, ma il lago e le circostanti campagne, ed è sublime a vedere la gran rocca, munita ancora di tutti i suoi merli che la coronano come una maestosa regina. Ha dintorno angusti viottoli e povere case frammiste al verdeggiare di alberi e di giardini, le quali sorgono a' suoi piedi, scendendo per la china del colle, e in piccol giro raccolgono quanto oggidì chiamano Bracciano vecchio. Stanno queste povere case a far più grande e più sontuosa la rocca come piccoli pigmei intorno a smisurato gigante, l'una stanza già del signore del luogo, le altre misero abituro de' suoi miseri vassalli, che osavano a mala pena alzar gli occhi al suo cospetto, siccome al cospetto dell'alta rocca si umiliano e si perdono le stesse case. L'una e le altre sono vera immagine de' tempi, nei quali furono edificate, e ritraggono vivamente l'orgoglio e la possanza dello antico barone, la soggezione e la miseria de' suoi dipendenti. Lasciando però di Bracciano vecchio, nel quale sono pure fabbriche di buono stile, e corrispondente ai tempi della stessa rocca, o di poco dopo, torniamo a discendere verso il piano, e nella piccola piazza, a cui fa capo quest'ampia via, mette egualmente l'altra ben più lunga, e più bella a vedersi che va dolcemente salendo, appellata dei cappuccini dalla chiesa che vi hanno sull'alto questi religiosi, e la quale ci rimane a sinistra, ma che di qua non possiamo scorgere; siccome non possiamo dallo stesso lato la bella e riquadrata piazza, che ha nel mezzo una copiosa fonte, ed in cui fa buona mostra di sé il palazzo del comune. Ma io non pittore come potrei neppure delineare, non che ritrarre con vivi colori, lo azzurro del cielo che nelle placide onde del lago bellamente si riflette? Come i paesetti che si specchiano in esse, e il vario verdeggiare delle piante, e le colline che ora lievemente s'innalzano, ora discendono e si appianano in amene praterie? Come il folto dei boschi, e lo alternarsi frequente di vigne e di oliveti? Come lo sfumare colaggiù lontano lontano degli altissimi monti, e di qua la interminabile e deserta campagna romana? Come il bello ed il vario di questo paese, e la maestà della sua rocca, e gli ultimi raggi del cadente sole che vivamente ne tingono i monti, ultimo saluto di quest'altro dì che se ne muore per non rivivere più mai? Come dipingere il silenzio e la dolce melanconia che qui regna d'intorno? Che se io pure mi  avessi le tinte di un Claudio da Lorena o di un Pussino, se quelle di un Salvator Rosa o di altri sommi riunite in uno, come potrei tante bellezze e tanto vari affetti e sentimenti di quest'ora e di questo luogo raccogliere in un sol quadro?

[ORESTE RAGGI, Viaggio Storico-pittoresco su le rive del lago Sabatino, o sia di Bracciano, discorso dell'avv. Oreste Raggi nelle vacanze autunnali del 1849, in 'Giornale Arcadico di Scienze, Lettere, ed Arti', n. 119, 1850, pp. 132-177]

giovedì 12 settembre 2013

Le sette terre del ducato di Bracciano

Lo storico Campagnia, in una relazione manoscritta conservata presso l'Archivio Orsini, descrive il ducato di Bracciano come composto di "sette terre", menzionando, però, solo tre di esse: Bracciano, Anguillara e Cerveteri. Le altre quattro terre, considerando ragionevolmente l'estensione originaria del ducato (1560), erano Trevignano, Monterano, Campagnano e Formello. Completavano l'elenco altri feudi minori e tenute: Baccano, Bardella, Cantalupo, Castel Giuliano, Cesano, Galeria, Isola, Palo, Saracinesco, Scrofano, San Gregorio, Vicarello. In seguito verranno aggiunte: Ischia, Monte Virginio, Oriolo, Rota, Viano, Rota, Baccano, Licenza, Pietraforte, Scarpa, Sorbo, Stigliano e Stracciacappe.
In queste sette terre  vi erano "cinque laghi di acqua viva", come scriverà più tardi il Nicolaj, e altri di acqua stagnante, come il Lago Morto.

Jacomo Oddi, mappa del Ducato di Bracciano (1662)
Scrive il Campagnia:
Il ducato di Bracciano ha un circuito di 150 miglia, oltre i luoghi che ha in Sabina, Vicovaro, passo importante ai confini del Regno di Napoli, onde era solito dire il Cardinal Granvela che bisogna che il re di Napoli fosse amico di chi possiede Vicovaro, et in altri tempi vi sono stati di presidio 500 spagnoli.
Lo stato unità è quella parte della Toscana che anticamente si chiamava Sabio, onde il lago di Bracciano, Sabatino lagus. Paese bellissimo, di colline dolci, ma vi sono anche montagne alte, vestite di selve; è la Maremma di detto stato fertilissima et è abbondantissima di acque, essendo idrigata da due fiumi principali et innumerevoli fossi.
Si produce grano, vino, legname, biade, fieno, pascolo, oglio, lane, canapa, salnistro, zolfo, manna... vi sono anche miniere d'oro e d'argento, ma non tali che non sia maggiore la spesa di cavarli, e bonificarli che l'utile. Vi sono due forni di ferro, molti edifici di ferriere, non mancano anche acque minerali salutifere, ma in particolare due bagni chiamati di Stigliano e di Vicarello, distanti l'uno dall'altro 15 miglia.
Tra i luoghi di questo stato sono due dell'antichità molto commentati, uno è Fedenati, adesso chiamata Anguillara, l'altra è Cere, cioè Cerveteri a differenza dell'altra edificata dipoi.
Fa questo stata buon numero di soldatesca, tutta bella gente, quale fa il duca esercitare sotto le bandiere da ufficiali pratici et il servitio dei due luoghi fortificati e muniti. Possiede questo stato il duca in mero e misto imperio, con una giurisdizione, senza pagare ricognizione e tributo alla Sede Apostolica, fuorché per i luoghi separati di Sabina.
Comprende due membri, il ducato di Bracciano e la contea di Anguillara, quale è libera, né riconosce temporale superiore alcuno costando di sette terre. L'entrata di una sola delle quali è Cerveteri, che ascende alla somma di Trentamila scudi annui".

mercoledì 11 settembre 2013

I Torlonia: storia della terza dinastia ducale di Bracciano

"Le jour où don Marino fut contraint de sortir de son vieux donjou, il pleura comme Bloabdil chassé de Grenade"
"Il giorno in cui don Marino fu costretto ad abbandonare la sua vecchia fortezza, urlava come Bloabdil quando fu scacciato da Granada"
Con queste parole la poetessa Louise Colet descriveva, un po' canzonatoria, il dispiacere mostrato dall'amico don Marino Torlonia, signore di Bracciano dal 1829, quando dovette restituire il ducato agli Odescalchi (1847).
Il padre di Marino, Giovanni Raimondo, infatti, aveva acquistato il feudo braccianese da Livio II Odescalchi (1803) con la clausola, come si usava allora,  dello ius redimenti, ovvero il diritto, da parte del venditore e dei suoi eredi, di poter riacquistare il bene alienato entro un periodo di tempo stabilito nel contratto, che nel caso specifico fu fissato in 50 anni (in genere erano 40).
Stemma della famiglia Torlonia
Il capostipite della famiglia è Marino Torlonia, figlio di Antoine Tourlonias e padre di Giovanni Raimondo. Oriundo del massiccio dell'Auvergne, nel 1750 si trasferisce a Roma, dove si dedica al commercio dei tessuti. Nel 1782 ha già accumulato capitali bastanti per aprire un Banco di cambio. Dopo la morte di Marino (1782) l'impresa di famiglia passa a Giovanni Raimondo che, con grande fiuto per gli affari, apertura verso il nuovo, e la giusta dose di spericolatezza politica, le farà compiere il salto di qualità: nel 1810 il patrimonio del Torlonia figura tra i maggiori di Roma. Emblematica è la testimonianza di Stendhal che, dopo averlo conosciuto, scriverà che Monsieur Torlonia "est le banquier de tous les Anglais qui viennent à Rome".
Durante il periodo napoleonico il Torlonia, inseguendo il denaro e gli interessi francesi,  arrivò allo scontro dichiarato con il cardinale Consalvi. Più tardi, nelle sue memorie, il cardinale avrebbe confidato delle "rubberie immense" del "gran Finanziere Romano" che lo "odiava a morte".
Dai suoi pari era visto come un nouveau riche, un "banquier de jour et duc de Bracciano la nuit", secondo la definizione scherzosa della nipote di Madame Récamier. Senza dubbio la sua estrazione era borghese, ma era un borghese che cammina spedito sulla via della nobilitazione: nell'arco di un ventennio diventa marchese di Romavecchia (1827), duca di Bracciano (1803), principe di Civitella Cesi (1813) e duca di Poli e Guadagnolo (1820).
Alla morte di Giovanni il feudo di Bracciano, compreso nella primogenitura, passa al figlio Marino, assieme al ducato di Poli e Guadagnolo, mentre il feudo di Civitella Cesi (con il titolo di principe) va ad Alessandro, il quale, per aver dimostrato una "spiccata meravigliosa attitudine per tale gestione", eredita anche il Banco Torlonia.
La breve stagione dei Torlonia  a Bracciano ha lasciato poche impronte di sé: la più importante, fino alla costruzione dell'acquedotto moderno, è stata il diritto all'uso in perpetuo dell'acqua della fontana posta nella piazza del Municipio, che il primo Odescalchi aveva concesso in uso precario. Oggi la traccia più visibile è l'epigrafe posta da Marino Torlonia sopra il portone della chiesa della Visitazione nel 1832, in occasione dei lavori di monumentalizzazione della facciata.

Lapide posta sopra il portone della chiesa della Visitazione
L'epigrafe è interessante perché adotta la forma latinizzata di "Bracciano" utilizzata nei documenti ufficiali dello Stato della Chiesa nei sec. XVIII e XIX: Barcennium (che, tra le tante storpiature occorse nel tempo a "Brachianum", è la più audace).