giovedì 12 settembre 2013

Le sette terre del ducato di Bracciano

Lo storico Campagnia, in una relazione manoscritta conservata presso l'Archivio Orsini, descrive il ducato di Bracciano come composto di "sette terre", menzionando, però, solo tre di esse: Bracciano, Anguillara e Cerveteri. Le altre quattro terre, considerando ragionevolmente l'estensione originaria del ducato (1560), erano Trevignano, Monterano, Campagnano e Formello. Completavano l'elenco altri feudi minori e tenute: Baccano, Bardella, Cantalupo, Castel Giuliano, Cesano, Galeria, Isola, Palo, Saracinesco, Scrofano, San Gregorio, Vicarello. In seguito verranno aggiunte: Ischia, Monte Virginio, Oriolo, Rota, Viano, Rota, Baccano, Licenza, Pietraforte, Scarpa, Sorbo, Stigliano e Stracciacappe.
In queste sette terre  vi erano "cinque laghi di acqua viva", come scriverà più tardi il Nicolaj, e altri di acqua stagnante, come il Lago Morto.

Jacomo Oddi, mappa del Ducato di Bracciano (1662)
Scrive il Campagnia:
Il ducato di Bracciano ha un circuito di 150 miglia, oltre i luoghi che ha in Sabina, Vicovaro, passo importante ai confini del Regno di Napoli, onde era solito dire il Cardinal Granvela che bisogna che il re di Napoli fosse amico di chi possiede Vicovaro, et in altri tempi vi sono stati di presidio 500 spagnoli.
Lo stato unità è quella parte della Toscana che anticamente si chiamava Sabio, onde il lago di Bracciano, Sabatino lagus. Paese bellissimo, di colline dolci, ma vi sono anche montagne alte, vestite di selve; è la Maremma di detto stato fertilissima et è abbondantissima di acque, essendo idrigata da due fiumi principali et innumerevoli fossi.
Si produce grano, vino, legname, biade, fieno, pascolo, oglio, lane, canapa, salnistro, zolfo, manna... vi sono anche miniere d'oro e d'argento, ma non tali che non sia maggiore la spesa di cavarli, e bonificarli che l'utile. Vi sono due forni di ferro, molti edifici di ferriere, non mancano anche acque minerali salutifere, ma in particolare due bagni chiamati di Stigliano e di Vicarello, distanti l'uno dall'altro 15 miglia.
Tra i luoghi di questo stato sono due dell'antichità molto commentati, uno è Fedenati, adesso chiamata Anguillara, l'altra è Cere, cioè Cerveteri a differenza dell'altra edificata dipoi.
Fa questo stata buon numero di soldatesca, tutta bella gente, quale fa il duca esercitare sotto le bandiere da ufficiali pratici et il servitio dei due luoghi fortificati e muniti. Possiede questo stato il duca in mero e misto imperio, con una giurisdizione, senza pagare ricognizione e tributo alla Sede Apostolica, fuorché per i luoghi separati di Sabina.
Comprende due membri, il ducato di Bracciano e la contea di Anguillara, quale è libera, né riconosce temporale superiore alcuno costando di sette terre. L'entrata di una sola delle quali è Cerveteri, che ascende alla somma di Trentamila scudi annui".

mercoledì 11 settembre 2013

I Torlonia: storia della terza dinastia ducale di Bracciano

"Le jour où don Marino fut contraint de sortir de son vieux donjou, il pleura comme Bloabdil chassé de Grenade"
"Il giorno in cui don Marino fu costretto ad abbandonare la sua vecchia fortezza, urlava come Bloabdil quando fu scacciato da Granada"
Con queste parole la poetessa Louise Colet descriveva, un po' canzonatoria, il dispiacere mostrato dall'amico don Marino Torlonia, signore di Bracciano dal 1829, quando dovette restituire il ducato agli Odescalchi (1847).
Il padre di Marino, Giovanni Raimondo, infatti, aveva acquistato il feudo braccianese da Livio II Odescalchi (1803) con la clausola, come si usava allora,  dello ius redimenti, ovvero il diritto, da parte del venditore e dei suoi eredi, di poter riacquistare il bene alienato entro un periodo di tempo stabilito nel contratto, che nel caso specifico fu fissato in 50 anni (in genere erano 40).
Stemma della famiglia Torlonia
Il capostipite della famiglia è Marino Torlonia, figlio di Antoine Tourlonias e padre di Giovanni Raimondo. Oriundo del massiccio dell'Auvergne, nel 1750 si trasferisce a Roma, dove si dedica al commercio dei tessuti. Nel 1782 ha già accumulato capitali bastanti per aprire un Banco di cambio. Dopo la morte di Marino (1782) l'impresa di famiglia passa a Giovanni Raimondo che, con grande fiuto per gli affari, apertura verso il nuovo, e la giusta dose di spericolatezza politica, le farà compiere il salto di qualità: nel 1810 il patrimonio del Torlonia figura tra i maggiori di Roma. Emblematica è la testimonianza di Stendhal che, dopo averlo conosciuto, scriverà che Monsieur Torlonia "est le banquier de tous les Anglais qui viennent à Rome".
Durante il periodo napoleonico il Torlonia, inseguendo il denaro e gli interessi francesi,  arrivò allo scontro dichiarato con il cardinale Consalvi. Più tardi, nelle sue memorie, il cardinale avrebbe confidato delle "rubberie immense" del "gran Finanziere Romano" che lo "odiava a morte".
Dai suoi pari era visto come un nouveau riche, un "banquier de jour et duc de Bracciano la nuit", secondo la definizione scherzosa della nipote di Madame Récamier. Senza dubbio la sua estrazione era borghese, ma era un borghese che cammina spedito sulla via della nobilitazione: nell'arco di un ventennio diventa marchese di Romavecchia (1827), duca di Bracciano (1803), principe di Civitella Cesi (1813) e duca di Poli e Guadagnolo (1820).
Alla morte di Giovanni il feudo di Bracciano, compreso nella primogenitura, passa al figlio Marino, assieme al ducato di Poli e Guadagnolo, mentre il feudo di Civitella Cesi (con il titolo di principe) va ad Alessandro, il quale, per aver dimostrato una "spiccata meravigliosa attitudine per tale gestione", eredita anche il Banco Torlonia.
La breve stagione dei Torlonia  a Bracciano ha lasciato poche impronte di sé: la più importante, fino alla costruzione dell'acquedotto moderno, è stata il diritto all'uso in perpetuo dell'acqua della fontana posta nella piazza del Municipio, che il primo Odescalchi aveva concesso in uso precario. Oggi la traccia più visibile è l'epigrafe posta da Marino Torlonia sopra il portone della chiesa della Visitazione nel 1832, in occasione dei lavori di monumentalizzazione della facciata.

Lapide posta sopra il portone della chiesa della Visitazione
L'epigrafe è interessante perché adotta la forma latinizzata di "Bracciano" utilizzata nei documenti ufficiali dello Stato della Chiesa nei sec. XVIII e XIX: Barcennium (che, tra le tante storpiature occorse nel tempo a "Brachianum", è la più audace).

Antichi scorci di Bracciano

Belle, allineate sono le interne vie, e quella più ampia s'appella Borgo Flavio (ed ha in fondo piccola piazza), da Flavio, ultimo della Casa Orsini che ne fu Signore. Le altre belle strade sono quelle di S. Maria Novella, dei Cappuccini, e della Ferriera.
(Adone Palmieri, Topografia Statistica dello Stato Pontificio, Tip. Forense, Roma 1857)

Paul Brill (1554 - 1626) - Veduta di Bracciano

martedì 10 settembre 2013

Signor Duca di Bracciano con familiarità non sono questi i patti (Relatione del ricevimento fatto à Bracciano da quel Signor Duca à Madama Sforza)

Questo è la pittoresca descrizione del ricevimento dato dal duca di Bracciano in onore di Mamada Sforza (moglie del duca Sforza di Onano, del ramo di Santa Fiora).
Lui dovrebbe essere il raffinato Paolo Giordano II, lei la fatale Renata di Lorena, e l'altro lo sfortunato Mario II.
In diverse, e molte congiunture hà fatto risplendere il Signor Duca di Bracciano la sua generosità, e la magnificenza della Nobilissima Casa Orsini, mà in questa ultima del ricevimento della signora Duchessa Sforza effettuato da Lui con pompa, ma disinvolta e senza affettare ostentazione, merita l’applauso universale d’haver saputo bene accoppiare la familiarità col decoro.
Blasone della famiglia Orsini
    Partì dunque il 4 del corrente mese di Luglio Madama Sforza per Bracciano per corrispondere all’inviti di quel S. Duca al quale haveva promesso, che nel ritorno faceva ad Onano haverebbe fatta quella strada. Giunto questo aviso al signor Duca di Bracciano uscì per molte miglia ad incontrarla con mute à sei, accompagnato da tutti gl’officiali della sua Militia Nobilmente vestiti, et Armati; Arrivò à Bracciano di Notte, e vidde avanti quella Fortezza schierate le compagnie de soldati à piede, et à Cavallo dalle quali fù salutata, come anco dallo sparo de Cannoni. Volle subito Madama Sforza vedere il Palazzo, e non gli cagionò poca meraviglia la quantità dell’appartamenti, e la ricchezza delle suppellettili sparse in sì vasta habitatione, in cui molti Potentati potrebbero nell’istesso tempo havervi un commodo ricetto. La mattina seguente vidde con gran sodisfazione l’armeria e doppo haver considerato per minuto molte sorti d’armi non ordinarie si prese divertimento con tirar molte freccie al vicino Lago, che unito all’amenità della Campagna rendono quel Paese un Terrestre Paradiso. La Tavola incominciando dalla prima sera per tutti i giorni si è trattenuta colà è stata sempre lautissima, et alla grande; Madama è stata servita di Coppa da un Cavalier Messinese, e si è Mangiato in publico con l’assistenza di tutti i Principali sudditi del signor Duca di Bracciano, che sono sempre comparsi superbamente vestiti. In fatti per lo spatio di quasi sei giorni, che si è trattenuta colà Madama Sforza vi è stata sempre Corte Bandita numerandosi nelle Tavole della Famiglia sessanta, e più persone per volta, tutti egualmente trattati con delicatezza sino à i più vili Ministri della stalla, e della cucina.
Castello di Bracciano
     Giunse subito in Roma l’avviso di queste sontuose magnificenze del signor Duca di Bracciano, e confuso il signor Duca Sforza mandò à far doglianze, che sua Ecc.za non havesse osservati i patti di trattare con domestichezza; mà gli fù risposto, che riguardando il Duca di Bracciano alle qualità di Madama, tutti i trattamenti usati potevano chiamarsi più che domestici.
     Il Sabbato sera doppo il solito trattenimento di ben concertata Musica fù fatta una bellissima festa di ballo, ove comparvero quantità di Donne Civili, e riccamente ornate, che appresso alle bellezze, e leggiadria di Madama Sforza sembravano tante stelle intorno al Sole.
Fortezza di Palo
    La Domenica fù condotta Madama à vedere la nobile fortezza di Palo situata nella spiaggia del mare, servita da una quantità di Civiltà volontaria in Calesso, e à Cavallo à segno, che si popolarono le strade della Campagna, e con placida calma restò attonito il mare, apprestando sopra di sé un quieto divertimento ad una Principessa di tanto merito; Et anche quivi apportò meraviglia per più capi la grandezza di Casa Orsina, perché oltre il considerare la fortezza munita di tutto il necessario presidiata da un numero competente di soldati con il loro Castellano capace dell’Arte militare, ritrovò un altro Palazzo riccamente addobbato, di dove si gode una vita si bella di mare, che riesce gioconda à chi stà in Terra, conforme riesce maestosa l’apparenza di detta fortezza à chi la rimira dal mare; fù quivi salutata dallo sparo di tutto il Cannone, passeggiò per diporto il mare in cui non mancarono sirene, mentre alcuni musici di più valore andarono sempre cantando entro la Barca. Fù parimente banchettata con ogni lautezza, e poi la sera si ricondusse à Bracciano, ove poco doppo giunse il signore Duca Sforza per esser ancor egli à parte di tanta allegria, e se bene altre volte haveva veduto quel luogo, pur hebbe motivo di rinovare le meraviglie, e restare ammirato nell’ordine di si bello, e grandioso ricevimento.
Castello di Onano
    Si trattenne il signor Duca Sforza sino al mezzo giorno del Martedì, e vedendosi trattato con tanta magnificenza fù più volte costretto dire = Sig.r Duca di Bracciano con familiarità non sono questi i patti = L’istesso giorno doppo desinare volle in ogni maniera partire non ostante, che dal suo generosissimo Hospite fusse instantemente pregato à trattenersi qualche altro giorno.  Et sino all’ultimo punto della dimora il Sig.r Duca di Bracciano fece pompa della sua singolar galanteria; Poiché in vero è un signore di parti si amabili, di tratto si Nobile, che non hà pari in servir Dame et Madama Sforza è rimasta al maggior segno sodisfatta, non solo per tante dimostrazioni di stima, mà per la disinvoltura usata seco, e non sì satia con quelle persone con le quali gl’è permesso, di far encomi delle  doti singolari di detto Signore.

sabato 7 settembre 2013

Pisciarelli nella cartografia del Catasto UTE (1860)

L'ultimo aggiornamento del catasto Pio-Gregoriano, che a Bracciano risale al 1860, resterà in vigore, col nome di catasto UTE, fino al 1952, anno in cui fu attivato il Nuovo Catasto Terreni: da allora è conosciuto come Cessato Catasto Rustico, e dal 1988 è conservato presso l'Archivio di Stato di Roma.

Pisciarelli (catasto UTE, aggiornamento del 1860)

A Pisciarelli, alla metà del sec. XIX, ancora sopravvive l'impianto urbanistico basato sui casali sparsi: a differenza di Bracciano, dove la costruzione del castello aveva agito da polo di attrazione rispetto allo sviluppo edilizio, nel contado pisciarellese mancherà sempre l'elemento in grado di dare avvio al processo di accentramento. Questo assetto è un'eredità lasciata dai capannari toscani di Firenze e Siena, giunti in questo territorio dopo la caduta delle loro Repubbliche, e che qui si sono insediati secondo il modello abitativo delle capanne sparse: lo stesso processo ha portato alla formazione di Manziana e S. Vito (area di Bracciano oggi quasi disabitata). Diversi luoghi di Pisciarelli portano ancora oggi nomi di origine toscana, dati loro dai capannari scesi da nord (per es.:  Micciaro).

QUI per il catasto UTE con il centro di Bracciano.

venerdì 6 settembre 2013

Claudio fecit sopra il lac di Bracciano

Claude Gellée (1600-1682), meglio noto come Claude Lorrain è stato un pittore francese molto attivo a Roma: oggi è considerato il maestro del genere paesaggio ideale.

Claude Lorrain, Vista del lago di Bracciano

Una sua opera minore, oggi conservata allo Sterling & Francine Clark Art Institute, è il disegno intitolato Vista del lago di Bracciano, che l'autore ha firmato apponendovi la scritta "Claudio fecit sopra il lac di Bracciano".

Valudando criticamente l'opera,  R.R. Tatlock osserva:
In the Claude drawing of the Lake of Bracciano the charm of the pattern insists itself upon us at once, but presently we become aware of a more complicated system of structural composition in the realisation of the shrubs and grasses in the foreground with the beautifully conceived row of darker trees beyond; at first sight words like charming, slight, effective, delicate, come to mind; one feels that the fluent pencil of the artist in tracing the contours of the scene, had written down "this thing is perfect". It is only after an interval, however brief, that one associates the thought of structure, of depth, of power and of greatness with the drawing - as apart, of course, from the subject depicted, which may easily have any of these qualities. An amusing study of this interesting drawing can be made by a comparison with a photograph of the exact scene wich happens to exist in Sante Bargellini, Etruria Meridionale, which demonstrates very beautifully how Claude interpreted his subject and based his design upon the great V-shaped contour of the hills and the little V-shaped arrangement of the foreground and the third and still smaller V-shaped line of the lake bank connecting these two main masses. This was his favourite, almost his invariable starting point when sketching, though no doubt the evident haste with which the drawing was made - which probably accounts for the slighly perfunctory and mechanical treatment of some of the ridges of the hills, enables one to note the characteristic with less of an effort than usual. It is noticeable that in this, as in almost every work of Claude, even those including figures, a stillness reigns over all; nothing ever moves; no tree so much as stirs. This is a characteristic of much French art, both that of the distant past and of our own day.
[da: R.R. Tatlock, Poussin and Claude, in 'The Burlington Magazine for Connoisseurs, v. 38, n. 214, 1921, pp. 2-9]

giovedì 5 settembre 2013

Bracciano nella cartografia del Catasto UTE (1860)

L'ultimo aggiornamento del catasto Pio-Gregoriano, che a Bracciano risale al 1860, resterà in vigore, col nome di catasto UTE, fino al 1952, anno in cui fu attivato il Nuovo Catasto Terreni: da allora è conosciuto come Cessato Catasto Rustico, e dal 1988 è conservato presso l'Archivio di Stato di Roma.

Il centro di Bracciano (catasto UTE, aggiornamento del 1860)
La cartografia mostra chiaramente come il paese, ancora alla metà del XIX sec., si limitava al centro storico e al borgo Flavio (oggi via Fausti): nonostante ciò, come si evince da una testimonianza del 1845, non mancavano quelli che, con termine moderno, chiameremmo punti di interesse:
Si ritrovano in questo Comune un Forno fusorio di ferro, che da qualche anno in più non agisce, e sei Ferriere, cinque soltanto delle quali agiscono in oggi. Più quattro mole ad acqua per grano, una delle quali non agisce; cinque molini da olio, due de’ quali ad acqua, che agiscono ogni anno insieme all’altro dei tre molini a cavallo. Inoltre quattro Negozi di acquavite, un’Osteria, un’Albergo, due Locande, quattro ortolani, dodici affittuari, due Negozi di Campagna, uno spacciatore di manifatture, quattro calzolari, 4 falegnami, tre facocchi [fabbricatori/riparatori di carrozze], due tabaccari, un chiavaro, tre bastari [fabbricatori di selle di legno], quattro fabri, due Medici [uno per Bracciano e uno per Pisciarelli], due Agrimensori, un Notaro, un Chirurgo, 4 Procuratori, un Farmacista, 3 Fornari, un Negoziante di pannine, ed altro, 5 Venditori di Vino, due Macellari, un Esattore Comunali, un Pizzicagnolo, ed un venditore di salumi, e formaggi, un Tinozzaro, due Muratori, due sarti, un Fabbricatore di Mattoni, due Caffettieri, un Negoziante di stracci, un Fruttarolo, un Prenditore di Lotti. Più tre carri, Barrozze sette, e due Legni da vitture.
Si contavano poi i seguenti capi di bestiame indigeno:
Bovi da lavoro 130, Vacche 168, Giovenche 26, Vitelli 20, Cavalli da punta 10, Cavalle da razza 105, asini da punta 3, asine da razza 2, Pecore e Montoni 1615, Capre, e Caproni 154; Bovi da Carro 10, Cavalli da sella 26, Cavalli da Carrozza 14, Cavalli da Carretto 16, Cavalli da Soma 51, Muli da Carretto 9, detti da soma 3, asini, ed asine da lavoro 111.
A questi si sommavano circa 1800 capi di bestiame appartenenti a foresteri, che stazionavano nel territorio per circa 8 mesi l'anno.

QUI per il catasto UTE con Pisciarelli

mercoledì 4 settembre 2013

Annio da Viterbo e "Bracciano"

Numerosi sono stati i tentativi di spiegare l'origine del nome Bracciano: il più fantasioso e improbabile di questi si deve ad Annio da Viterbo, umanista viterbese della fine del '400. Nella sua colossale opera Antiquitatum variarum volumina XVII l'umanista immagina che il popolo spagnolo dei Birgi abbia mandato una Colonia nella Toscana Sabbatina e che, dal nome dei fondatori sia stata chiamata Brigiana, ed in progresso di tempo Bracciano.

Antiquitatum variarum volumina XVII
Il Nicolai avrà occasione di criticare aspramente la fantastiosa etimologia, buona, a suoi dire, per i sogni dell'"impostore Annio da Viterbo" e per i "suoi simili". La caratteristica dell'erudito viterbese, infatti, era quella di essere un falsario patentato, che, per mezzo di false fonti, commenti mostruosamente complicati, e reperti archeologici prodotti ad arte, riusciva a dare credibilità alle proprie opere.
Sbugiardato fin dal XVI sec., la sua opera divenne un testo di riferimento per i falsari delle epoche successive.

lunedì 2 settembre 2013

I laghi del Ducato di Bracciano

Nel complesso vulcanico dei monti Sabatini si conservano, oggi, tre laghi di diversa grandezza: di Bracciano, di Martignano e di Monterosi.
In passato, tuttavia, il territorio era ancora più ricco di specchi d'acqua, tanto da essere ribattezzata dal poeta latino Silio Italiaco (I sec. d.C.) Sabatia Stagna, mentre per l'età feudale si ricorda la presenza di cinque laghi d'acqua viva, ed altre zone paludose.

Mappa del ducato di Bracciano di Jacomo Oddi (partim)
I laghi che oggi non esistono più, tutti prosciugati tra il XVIII e il XIX sec., erano: Stracciacappe, Baccano, Lagusiello e Lagomorto. Oltre a questi laghi veri e propri esistevano anche delle zone paludose come Polline e Prato Capanna.

Laghi non più esistenti: 1. Lagusiello; 2. Stracciacappe; 3. Baccano; 4. Lagomorto

1. Lagusiello
Il Lagusiello, o Lagoscello era un piccolo lago esistente alle spalle del paese di Trevignano, formatosi per riempimento del cono di una delle bocche del vulcano Sabatino. E' stato prosciugano alla fine del XVIII dall'allora duca di Trevignano Domenico Grillo per ridurre il suo letto a coltura. Il sito, che pggi è considerato monumento naturale, merita una visita, perché al suo interno si percepisce, contemporaneamente, la suggestione di camminare sul fondale di un lago e nella bocca di un vulcano.

L'alveo del Lagusiello
Padre Bondi da Fiumalbo ci ha lasciato un'interessante memoria del Lagusiello:
Non riuscì tanto difficile il suo prosciugamento, poiché rinvenuto l'ingresso del cunicolo, che già erasi scavato anticamente, per ottenere un eguale intento, o piuttosto in tempo che si costruiva il Trajano, a cui è di assai superiore, sulla fiducia che l'originale di quel piccolo lago derivasse da sorgenti perenni per poi riunirle all'acquedotto medesimo; se pure non fosse ciò eseguito ancora sotto Paolo V Borghese, quando fu posto mano al famoso ristauro dello stesso Trajano, non riuscì dissi tanto difficile quel lavoro, perché riconosciuto perfettamente l'antico andamento di quel cunicolo, che dai Trevignanesi era detto, come lo è pur ora il Lucernajo o Sboccatore del Lagoscello. L'acqua ivi esistente, e non più alta di circa due canne incominciava a scorrere mediante l'abbassamente, che i veniva facendo all'imboccatura, e che ridotto sino al piano dove posavano le acque fu perfettamente ridotto a nuova coltura, la quale tuttavia si conserva mediante la fossa di circonvallazione, ed altre inferiori, che sboccano nella forma più larga, ossia maestra, situata nel mezzo per richiamare lo scolo degli adiacenti colli, che vanno a versar l'acqua piovana in quella gran conca o bacino. Sebbene la spesa impiegata nel prosciugamento suddetto portasse qualche somma e non piccola, fu però questa doppiamente compensata con immense some di ottime Tinche, che vi furono raccolte, e che diedere l'essere alla persona a cui il prefato Sig. Duca avea tutta affidata quell'operazione, e concessa del pari gratuitamente, qualunque fosse stata la quantità del pesce che si sarebbe rinvenuto, oltre il godimento per quattro anni del terreno, senza pagarne imposta alcuna.

2. Stracciacappe
Noto anticamente con il toponimo prediale di lacus Papyrianus (diventato Paparanus nel X sec.) il lago di Stracciacappe deve il suo attuale nome alla presenza, sulla sponda settentrionale, della torre di Stirpa Cappe (XII sec.), il cui nome si è successivamente corrotto in Stracciacappe.


L'alveo del lago di Stracciacappe
La torre, unico elemento architettonico conservatosi del castellare e borgo di Stirpe Cappe, si erigeva in posizione strategica per controllare il transito sulla via Cassia. La vita del piccolo feudo è breve: nella seconda metà del Trecento fu abbandonato dalla popolazione e si ridusse a semplice tenuta. Nel 1604 viene acquistata dal duca di Bracciano, che la rivende ai Giustiniani nel secolo successivo: in tutti questi passaggi il lago segue il destino del feudo, di cui era pertinenza.

Il lago aveva un diametro di circa 1.200 m, e, essando privo di sorgenti e affluenti, era di modesta profondità (che variava durante l'anno, in base alle piogge): nonostante ciò risulta che le sue acque fossero molto pescose.

Nel 1828 papa Leone XII, per meglio alimentare le mole a grano del Gianicolo, spinte dalla forza idraulica incondottata a Roma attraverso l'Acquedotto Paolo, le quali, durante la stagione estiva, non ricevevano sufficiente energia, pensò di ricorrere alle acque dei laghi di Martignano e Stracciacappe. Furono così costruiti una serie di condotti che rovesciavano le acque del lago di Stracciacappe in quello di Martignano, e da quest'ultimo direttamente nell'acquedotto paolino: il risultato fu quello di abbassare la profondità di entrambi, riducendo il minore ad una palude, che fu poi, nel corso del secolo seguente, completamente prosciugata.

3. Baccano
Il lago di Baccano è stato il primo dei laghi del territorio ad essere stato prosciugato, nel 1715, per iniziativa del principe Augusto Chigi. Il prosciugamento avvenne per mezzo di un "fosso profondo", noto con il nome di "Varca" o "Valca", che
attraversando la strada maestra detta la Via Cassia presso Baccano suddetto, dopo un corso di circa venti miglia si scarica nel Tevere vicino a Prima Porta.
Pianta del lago di Baccano fatta elevare dal principe Agostino Chigi
Il lago era sicuramente esistente già in età romana, come dimostra il percorso dell'antica via Cassia, che, pur correndo rettilineo fino alla località di Baccano, qui compieva una traiettoria parabolica, necessaria per superare l'ostacolo d'acqua: ancora nel '700, benché impaludato, lo specchio d'acqua continuava a costeggiare la strada romana.

4. Lagomorto


L'alveo del Lagomorto
Lago Morto, il più piccolo tra i laghi scomparsi, occupava uno dei crateri del vulcano Sabatino, sito nell'attuale frazione di Vigna di Valle. Il nome suggerisce che il lago fosse poco profondo ("morto", nella toponomastica, è un aggettivo spesso associato a zone paludose) e che, specie nella stagione secca, tendesse a scomparire. Con Lago morto si indicava anche una delle contrade del territorio di Bracciano soggette alla rotazione agraria della quarteria, che dalla presenza dello specchio d'acqua prendeva il nome.

Lago Morto in una vecchia carta IGM di inizio XX sec. (partim)
Il lago si trovava ai margini del territorio di Bracciano, verso anguillara, adiacente alla vecchia strada romana che portava a Roma: il Lago Morto era il primo elemento topografico che appariva ai viaggiatori provenienti da Roma, lasciata l'osteria delle Crocicchie, e segnalava l'ingresso nel territorio di Bracciano. A seconda delle epoche e delle stagioni il Lago Morto, che i viaggiatori incontravano, all'improvviso, sulla sinistra del loro percorso, si presentava di volta in volta come un lago, una palude ("a small pestilential lake"), un "piccolo cratere", un "piccolo prato così verde di rigogliosa erba" o un campo messo a coltura. Qui, il 16 giugno 1669, i rappresentanti della Comunità di Bracciano incontrarono le prime monache del convento della Visitazione:
le venerabili madri... furono ricevute con gentili parole e accolte in un luogo detto in volgare Lago Morto da venti cittadini di illustre famiglia esquestre

Il Lago Morto in una mappa del 1857 (partim)
Nel tempo il Lago Morto è stato prosciugato dall'uomo, per mezzo del fosso di Pratolungo, che era un naturale estuario del lago: trasformato in lavoreccio (ovvero in campo non recintato soggetto alla semina in turno di quarteria e alle servitù di pascolo) è segnato in catasto, con il nome di Le Sessanta rubbia, a favore del duca di Bracciano (che possedeva il lago). Il fondo, che, come dice il nome, misurava 60 rubbia (per la precisione 56, pari a circa 83 ha) era la più estesa dell'intero territorio.

La mansio Ad Novas segnata nella Tabula Peutingeriana

Nei pressi del Lago Morto, in età romana, sorgeva una mansio che la Tabula Peutingeriana riporta con il nome di Ad Novas: alcuni resti romani di pertinenza dell'antica stazione di sosta della via Clodia giacciono in prossimità di quella che era la sponda occidentale del lago.

Coordinate GPS per raggiungere i resti romani di Lagomorto